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Storia razziale dell’antica Grecia: l’origine nordica degli Elleni Indoeuropei

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Storia razziale dell’antica Grecia: l’origine nordica degli Elleni Indoeuropei Empty Storia razziale dell’antica Grecia: l’origine nordica degli Elleni Indoeuropei

Messaggio  druido Lun Giu 14, 2010 2:07 pm

L’antica Grecia con la sua storia e la sua civiltà è da parecchi E' ampiamente provato che le èlites guerriere indoeuropee avevano un fenotipo prevalentemente nordico.
Gli achei (affini tra l'altro ad amorrei e filistei arijani) infatti erano descritti come alti e biondi nell'iliade (che è da molti visto come la contrapposizione tra la civiltà indo-mediterranea e quella arijo-europea nordica).
Infatti il carattere guerriero di tali èlite patriarcali e gerarchche nordiche si contrapponeva al carattere mite agricolo e matriarcale delle popolazioni paleo-europee indo-mediterranee (il cui fenotipo è prevalente in europa).
Dall'incontro tra la civiltà nordica\indoeuropea e indo-mediterranea nacque appunto la moderna civiltà europea cioè dall'incontro tra il culto agricolo della madre terra e culti guerrieri arijani, ricordiamo che tali popolazioni si imposero come èlite guerriera sulle tribù agricole locali imponendo la loro lingua e cultura: ricordiamo che dalla radice ar (che vuol dire "nobile" "importante") deriva il termine ar-istocratico, ciò per far comprendere l'origine èlitaria e guerriera di tali popolazioni.
Inefetti il declino greco giunse con la levantinizzazione dovuta all'importazione di schiavi dal medio oriente e soprattuto al lungo dominio turco a cui conseguì la scomparsa dell'èlite nordica\indoeuropea originaria (salvo la documentata presenza nordica nell'epiro) e la branchicefalizzazione dei greci mediterranei originari e dunque il peggioramento razziale della popolazione di quel paese. sull’interpretazione razziale della storia greca nella cultura europea (in particolare francese ed italiana, con riferimenti sparsi a parecchi autori ed alcuni approfondimenti) e nord-americana dell’800 e del ‘900.
Apro ora questa nuova discussione proprio per parlare delle origini degli antichi Greci e della loro storia dai tempi primitivi – dalle prime migrazioni indoeuropee all’epoca dell’epica omerica - fino a quelli classici, ellenistici, moderni e contemporanei; cercerò di offrire un breve quadro riassuntivo con mie parole per poi riportare articoli di approfondimento storico e culturale.
Gli originari conquistatori di stirpe e lingua ellenica – essenzialmente le tre diverse ondate principali: Ioni, Achei e Dori – erano di tipo fisico prevalentemente nordico (con alcuni influssi dinarici, che potrebbero aver assorbito nell’area balcanica, dato che non erano compattamente dolicocefali ed anzi una parte di loro era brachicefala pur avendo di solito occhi chiari e capelli biondi) e provenivano probabilmente dalla zona della Turingia/Sassonia (attuale Germania centrale e nord-occidentale) o comunque dall’Europa centro-settentrionale; in ogni caso a nord dei Balcani, ove si stanziarono sicuramente prima di giungere in Grecia ove infine si imposero come ceto nobiliare dominante sugli autoctoni pre-ellenici (bianchi anche loro, ma di ceppo sostanzialmente mediterraneo, con netta prevalenza della dolicocefalia).
Nella Grecia mediterranea pre-ellenica era già fiorita da alcuni millenni – ben prima delle conquiste indoeuropee - una grande civiltà come quella egeo-cretese detta minoica che in seguito influenzò fortemente con la sua arte, la sua organizzazione sociale e la sua religione la successiva civiltà greca storica, a partire dai tempi di Micene allorchè gli Achei omerici (che formavano l’aristocrazia micenea) ereditarono buona parte della civiltà locale.
La storia greca delle varie poleis – che subentrarono agli ordinamenti monarchici ed aristocratici - era già il prodotto della quasi completa fusione biologica e culturale fra gli Elleni Indogermani e gli autoctoni di stirpe egeo-mediterranea, anche se la nobiltà ed i ceti superiori rimasero per altri secoli più o meno appannaggio dei lontani discendenti dei conquistatori (anche nella gloriosa e democratica Atene di Pericle, il quale era un illustre membro della nobiltà ateniese degli Eupatridi, ove gli stranieri non godevano degli stessi diritti dei cittadini dato che la cittadinanza era assegnata sulla base del diritto di sangue e dall’appartenenza alla stirpe).
La Grecia post-periclea ed ellenistica vide un certo cambiamento nella composizione della popolazione originaria, che in parte fu decimata a causa delle continue guerre (che falcidiarono soprattutto la nobiltà ed i ceti superiori) con spopolamento di varie zone e per il resto si fuse con gli immigrati levantini che giunsero dall’Asia Minore e dal Medio-Oriente soprattutto ad Atene. Quando ci fu la quasi completa parificazione fra greci e non-greci, fra liberi e schiavi che originariamente erano distinti su base etnica, ecco che il declino della Grecità fu inevitabile. Una volta levantinizzata – in epoca tardo antica - la Grecia declinò anche se ci furono pur sempre alcune cerchie culturali a tenerne viva la memoria.
Nei secoli medievali - che causarono un ulteriore spopolamento di intere città - fu però in parte ripopolata in maniera abbastanza massiccia con coloni slavi e qualche élites celtica e germanica poi assorbita nel resto della popolazone. Però ci fu in epoca moderna un’ulteriore imbastardimento, dovuto all’influenza turca e dell’Oriente dato che la Grecia fu parte dell’Impero bizantino e fu sottomessa alla Turchia per alcuni secoli e la cosa ha lasciato tracce nella popolazione.
In sostanza, la Grecia moderna ed attuale ha poco a che spartire con la Grecia antica, sia biologicamente che storicamente e culturalmente.
La Grecia adesso è anche in piena crisi economica e politica, lacerata da crescenti conflitti sociali, uno dei paesi messi peggio in tutta l’Europa.
La storia greca è quindi preziosa da studiare per rendersi conto di come l’imbastardimento razziale – anche se parziale, dato che comunque la Grecia non è sprofondata al livello dell’Egitto o del Maghreb, ove il cambiamento razziale è stato ancora più netto nel corso dei secoli – di una popolazione e la sparizione delle sue élites aristocratiche possano causare il progressivo declino di una civiltà un tempo all’avanguardia…

Ecco che ora vi riporto, a seguire, vari articoli interessanti sulla storia greca...

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Messaggio  druido Lun Giu 14, 2010 2:07 pm

Sulle origini degli Elleni e degli Indoeuropei primitivi - nonchè sulla loro cultura - consiglio questi libri essenziali (alcuni in parte datati, comunque molto interessanti) per farsi un'idea delle varie teorie formulate a tal proposito:


J. Haudry, Gli indoeuropei, trad. di F. Sandrelli, Edizioni di Ar, Padova 2000 (Paris 1981).

J. P. Mallory, In Search of the Indo-Europeans, London 1989.

AA.VV., Antichi popoli europei. Dall'unità alla diversificazione, Roma 1993.

A. Romualdi, Gli indoeuropei. Origini e migrazioni, Edizioni di Ar, Padova 1978.

Hans F. K. Günther, Religiosità indoeuropea, trad. di A. Romualdi e C. Minutoli, Edizioni di Ar, Padova 1970.
Hans F. K. Günther, Platone custode della vita. La concezione platonica della selezione e della educazione, edizioni di Ar , Padova 1977.
Hans F. K. Günther, Humanitas, Edizioni di Ar, Padova 1977.
Hans F. K. Günther, Tipologia razziale dell'Europa, Ghenos, Ferrara 2003.

F. Vinci, Omero nel Baltico, Roma 2002.

A. Kemp, March of the Titans, Ostara 1999.
http://www.white-history.com/




Articoli fondamentali da leggere:


I capelli biondi nella Grecia antica | Adriano Romualdi

La popolazione nordica della Grecia antica | Hans F. K. Guenther
La popolazione nordica della Grecia antica | Hans F. K. Guenther

Tipologia razziale dell'Europa - Politica in Rete Forum
Tipologia razziale dell'Europa - Pagina 2 - Politica in Rete Forum

Refuting Racial Myths -- Correcting the misinformation at racial_myths

Nordic Hellas by Karl Earlson

The Hellenes: Classical Greece

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Messaggio  druido Lun Giu 14, 2010 2:08 pm

Gli Elleni? Venivano dalla Turingia-Sassonia | Cultura | Rinascita ...
Gli Elleni? Venivano dalla Turingia-Sassonia | Cultura | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale

“Intervista al professor Ernesto Roli sulle origini dei popoli indoeuropei
Gli Elleni? Venivano dalla Turingia-Sassonia di Elena Colombari

Esistono vari equivoci sulla collocazione dei popoli indoeuropei.
Il nord non può essere considerato come una specie di porto delle nebbie dove è possibile metterci dentro di tutto, oppure dal quale tutto può partire, tanto ogni cosa è indistinta. Oramai l’archeologia e la linguistica nordica è perfettamente conosciuta. Quando si parla di nord bisogna distinguere. Difatti l’ambiente umano e culturale che si ispira al mondo nordico iperboreo è solitamente ingenuo e carente di presupposti scientifici e quando sente parlare di nord si entusiasma e inconsapevolmente accoglie ogni cosa.
Per questo abbiamo chiesto al prof. Roli alcune delucidazioni sulla origine dei popoli indoeuropei.

Professor Roli ci può dare alcune spiegazioni circa l’origine e la formazione dei popoli indoeuropei, almeno secondo la scuola di A. Romualdi?

Tutto un certo ambiente umano deve la conoscenza della impostazione archeologica, scientifica, etnica e spirituale del problema indoeuropeo ad A. Romualdi. In particolare anche noi, che siamo stati i suoi più diretti continuatori, siamo a lui debitori delle attuali nostre conoscenze e ci dispiace vedere come taluni si siano dimenticati dei suoi insegnamenti, per inseguire chimere.
Cerchiamo pertanto di dare una definizione precisa del mondo indoeuropeo, partendo dalle origini preistoriche sino alla formazione dei singoli popoli e poi via via sino alla loro dispersione o alle loro migrazioni, nel corso dei secoli e dei millenni. Questo ci aiuta a capire in sostanza anche l’origine e la formazione degli Elleni.
Il mondo indoeuropeo ha inizio con il Mesolitico (12.000 circa) quando i popoli Cro - Magnon dalla Spagna meridionale, seguendo le renne, che risalgono l’Europa in seguito al graduale scioglimento dei ghiacci, si dirigono in Francia, in Inghilterra, in Olanda e in Germania (8000), poi in Danimarca e in Svezia meridionale (7000). Nella fascia baltica fiorisce la cultura mesolitica di Maglemose (7000) e poi quella di Ertebolle (5000), estesa dall’Olanda alla Vistola, poi in Danimarca e Svezia meridionale. Cominciamo a prendere atto del fatto che la regione scandinava è una zona di arrivo e non di partenza.
Proprio in questo periodo (5000) cominciano ad infiltrarsi in maniera massiccia dal meridione verso nord, agricoltori neolitici provenienti dall’Asia, attraverso l’Anatolia. Sono popolazioni egeo-mediterranee, definite come Cultura della Ceramica Lineare o Danubiani.
In poco tempo i neolitici colonizzano tutta l’Europa diffondendo la pratica dell’agricoltura e dell’allevamento.
Nell’area nordica nascono la Cultura del Bicchiere Imbutiforme e poco dopo la Cultura Megalitica Nordica (3500 - 3000), che si espandono in Danimarca e in Svezia meridionale e poi in Germania meridionale ed orientale e in Polonia. E’ da questa cultura che nascono i popoli indoeuropei propriamente storici, con la nascita di due culture fondamentali, le Anfore Globulari (Germania orientale - Polonia) e la Ceramica a Corda (Turingia- Sassonia), associate entrambe alla cultura delle Ascie da Combattimento (2500).
Queste due culture denotano già una prima fondamentale divisione nel mondo indoeuropeo, in popoli kentum e in popoli satem (dal modo di pronunciare la parola cento).
I popoli satem sono i gruppi orientali che migrando verso est (Baltico, Russia) e sud est (Ucraina, Caucaso) danno origine ai Balti, agli Slavi, agli Indoiranici, ai Tocari, agli Sciti, ai Sarmati, ecc.
I popoli kentum, invece, migrano verso nord (Danimarca, Svezia), verso occidente (Francia, Inghilterra, Spagna) e verso l’area danubiano balcanica. Danno origine ai Celti, ai Greci, ai Latini, agli Italici, ai Veneti, ai Luviti e agli Ittiti, agli Illiri, ai Traci e ai Germani, ecc.
Intorno al 2100 nasce nell’Europa centrale la Cultura di Aunietiz (Età del Bronzo), che diffonde spade in tutta Europa dal sud al nord, svolgendo un meraviglioso ruolo intermediario tra la cultura nordica isolata, ma ricca e feconda e le culture mediterranee.
Infine, sempre nel centro Europa, intorno al 1400, nasce la Cultura Lusaziana o dei Campi d’Urne, che intorno il 1100 si espanderà in tutta Europa.
Il cuore quindi delle migrazioni dei popoli indoeuropei storici è, quindi, la Germania e la Polonia centro meridionale.
La dislocazione dei singoli popoli indoeuropei appare nella cartina, da dove si evince in maniera inequivocabile la posizione centro meridionale degli Elleni, vicini agli Illiri."

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Messaggio  druido Lun Giu 14, 2010 2:08 pm

Omero nel Baltico - seconda parte
YouTube - Omero nel Baltico - seconda parte


http://itis.volta.alessandria.it/epi...ep6-vinci1.htm
"Nel volume Omero nel Baltico abbiamo cercato di dimostrare che il reale scenario delle vicende dell'Iliade e dell'Odissea fu il mondo baltico-scandinavo, sede primitiva dei biondi navigatori achei: costoro successivamente discesero nel Mediterraneo, dove, attorno all'inizio del XVI secolo a.C., fondarono la civiltà micenea, trasponendovi, oltre ai nomi geografici, anche epos e mitologia, portati con sé dalla perduta patria nordica.
Questo tra l'altro ci ha permesso di collegare in un quadro unitario la discesa degli Achei nel mar Egeo con la diaspora di altri popoli indoeuropei, che, all'incirca nello stesso periodo (ossia nella prima metà del II millennio a.C.), si stanziarono nelle rispettive sedi storiche: pensiamo agli Hittiti in Anatolia, ai Cassiti in Mesopotamia, ai Tocari in Turkestan, agli Arii in India. Riguardo a questi ultimi, "cugini" degli Achei nonché parlanti una lingua affine (di cui una traccia nel mondo nordico è rimasta nell'attuale lingua lituana), è significativa la tesi del Tilak, un dotto bramino indiano, il quale nel mondo vedico ha ritrovato cospicue tracce di una probabile origine nordica, anzi, addirittura artica. (...)
Tutto ciò invece va irrimediabilmente a cozzare con la vecchia idea dell'origine orientale della civiltà europea ("Ex Oriente Lux"). Peraltro va notato che tale concetto è stato ormai da tempo messo in crisi dall'introduzione della datazione col radiocarbonio, corretta con la dendrocronologia (cioè la calibrazione con gli anelli annuali degli alberi). (...) Insomma, lo spostamento delle origini della nostra civiltà dall'oriente al settentrione risulta perfettamente in linea con le più recenti acquisizioni della scienza.
È altresì evidente che le precedenti considerazioni richiedono ulteriori verifiche ed approfondimenti da parte degli specialisti nei vari ambiti da esse toccati: noi preferiamo dunque considerarle un punto di partenza, più che di arrivo, nella ricerca delle origini della civiltà umana."





”Omero nel Baltico”, un successo di critica | Tribuna | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale


TecaLibri: Felice Vinci: Omero nel Baltico

"Felice Vinci, Omero nel Baltico. Saggio sulla geografia omerica, Edizione Palombi, Roma, 2002 [1993]

Indice

Presentazione di Rosa Calzecchi Onesti

Prefazione di Franco Cuomo

Introduzione

Prima parte: IL MONDO DI ULISSE
I. Plutarco, l’isola Ogigia e la Scheria
II. Dulichio, Same e Zacinto
III. Itaca
IV. Ulisse e la mitologia nordica
V. Le avventure di Ulisse

Seconda parte: IL MONDO DI TROIA
VI. "L’antica Ilio non si trova qui"
VII. Troia
VIII. Donne contese e mura di legno
IX. L’accampamento acheo, le navi,
le asce di pietra
X. Lemno. Samotracia, Chio e Cipro

Terza parte: IL MONDO DEGLI ACHEI
XI. Clima e cronologia: l’origine nordica
dei Micenei
XII. Il Catalogo delle navi
XIII. Aulide, Tebe, Atene e Naxos
XIV. Le regioni del Peloponneso e
il viaggio di Telemaco
XV. La Ftia, Creta, il fiume Egitto e Faro

Quarta parte: ACHEI E INDOEUROPEI
XVI. L’Olimpo. la Pieria e la luna di Hermes
XVII. Il fiume Oceano, l’Etiopia artica e
le case di Ade
XVIII. L’optimum climatico e il paradiso
indoeuropeo
XIX. Ultima Thule

Conclusioni
Tavole geografiche
Bibliografia
APPENDICE FOTOGRAFICA"



"Pagina 433
CONCLUSIONI
Il reale scenario dell'Iliade e dell’Odissea, è identificabile non nel mar Mediterraneo, ma nel nord dell’Europa. Le saghe che hanno dato origine ai due poemi provengono dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva l’età del bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia e Itaca: le portarono in Grecia, in seguito al tracollo dell "’optimum climatico", i grandi navigatori che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea: essi ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta.
Ecco, in estrema sintesi, le conclusioni della nostra ricerca. Essa - preso atto delle assurdità a cui conduce la collocazione mediterranea dei poemi omerici, dei loro problematici rapporti con la geografia miccnea. della loro dimensione europeo-barbarica (Piggott) nonché della probabile provenienza nordica della civiltà micenea (Nilsson) - è partita dall’indicazione di Plutarco riguardo alla collocazione settentrionale dell’isola Ogigia: è stata questa la chiave che ci ha spalancato le porte del mondo omerico, consentendoci di dare il via ad una minuziosa ricostruzione, i cui risultati comprovano la fondatezza dell’assunto iniziale."





http://www.geogr.unipd.it/Convegno/OmeroNelBaltico.pdf
"Breve scheda del libro "Omero nel Baltico" e dell'autore

Il volume "Omero nel Baltico. Saggio sulla geografia omerica",
Ed. Palombi, IV edizione, 2004, introdotto dalla Prof. Rosa Calzecchi Onesti, è stato positivamente
recensito dal Prof. Claudio Cerreti, dell'Università "La Sapienza" di Roma, sul Bollettino
della Società Geografica Italiana (numero di gennaio-giugno 2000, pag. 318 sgg.).

<dà adito ad innumerevoli incongruenze, ma nell'Europa settentrionale. Le saghe che hanno
dato origine ai due poemi provengono dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio
a.C. fioriva una splendida età del bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici,
fra cui Troia e Itaca; le portarono in Grecia, in seguito al tracollo dell'Optimum climatico,
i grandi navigatori che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea: essi ricostruirono
nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte la guerra di Troia e le
altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo
poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro
antenati nella patria perduta>>


Felice Vinci è un ingegnere nucleare con una profonda formazione negli studi di classici
latini e greci. Vive a Roma.
Dal 1992 ha avviato la sua ricerca sulle origini nordiche della mitologia greca, e l'ha esposta
in successive edizioni del volume "Omero nel Baltico" (Fratelli Palombi, IV edizione, 2004).
Nel 2002 e 2005 l'autore ha presentato la tesi esposta nel libro in due convegni internazionali
tenutisi rispettivamente presso l'Università di Vancouver e l'Università di Riga (Dipartimento
di Filologia Classica).
Nel 2004 ha presentato l'edizione russa del libro all'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo.
Nell'aprile 2005 ha svolto un seminario in due lezioni presso il Dipartimento di Geografia
della Facoltà di Lettere dell'Università "La Sapienza" di Roma, nell'ambito di un corso, intitolato
"Il mare: mito e letteratura", tenuto dal Prof. Gianfranco Bussoletti ("Omero nel Baltico"
stato indicato fra i testi d'esame).
Infine, il libro è stato tradotto in inglese e pubblicato nel 2005 in USA da una casa editrice
americana con titolo
"The Baltic Origins of Homer's Epic Tales The Iliad, the Odyssey, and the Migration of
Myth" (v. sito web: Baltic Origins Of Homer's Epic Tales: The Iliad, The Odyssey, And The Migration Of Myth (978-1-59477-052-4) | Legends & Mythology | Inner Traditions ).
Al riguardo, il prof. William Mullen, del Department of Classics del Bard College di New
York, ha scritto:

"It is hard to overstate the impact, both scholarly and imaginative, of Vinci's
compellingly argued thesis.... Scholars will be rethinking Indo-European studies
from the ground up and readers of Homer's epics will enter fresh realms of delight
as they look anew at the world in which Homer's heroes first breathed and moved".


L'origine nordica della Tradizione: Omero nel Baltico | Alberto Lombardo

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Messaggio  druido Lun Giu 14, 2010 2:08 pm

E' ampiamente provato che le èlites guerriere indoeuropee avevano un fenotipo prevalentemente nordico.
Gli achei (affini tra l'altro ad amorrei e filistei arijani) infatti erano descritti come alti e biondi nell'iliade (che è da molti visto come la contrapposizione tra la civiltà indo-mediterranea e quella arijo-europea nordica).
Infatti il carattere guerriero di tali èlite patriarcali e gerarchche nordiche si contrapponeva al carattere mite agricolo e matriarcale delle popolazioni paleo-europee indo-mediterranee (il cui fenotipo è prevalente in europa).
Dall'incontro tra la civiltà nordica\indoeuropea e indo-mediterranea nacque appunto la moderna civiltà europea cioè dall'incontro tra il culto agricolo della madre terra e culti guerrieri arijani, ricordiamo che tali popolazioni si imposero come èlite guerriera sulle tribù agricole locali imponendo la loro lingua e cultura: ricordiamo che dalla radice ar (che vuol dire "nobile" "importante") deriva il termine ar-istocratico, ciò per far comprendere l'origine èlitaria e guerriera di tali popolazioni.
Inefetti il declino greco giunse con la levantinizzazione dovuta all'importazione di schiavi dal medio oriente e soprattuto al lungo dominio turco a cui conseguì la scomparsa dell'èlite nordica\indoeuropea originaria (salvo la documentata presenza nordica nell'epiro) e la branchicefalizzazione dei greci mediterranei originari e dunque il peggioramento razziale della popolazione di quel paese.

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Messaggio  druido Lun Giu 14, 2010 2:09 pm

Adriano Romualdi sugli Antichi Elleni :

"E’ stato Reche a osservare che mai i Greci avrebbero adoprato la parola “arcobaleno” (iris) per designare l’iride della pupilla (come i Tedeschi: Regenbogenhaut= iride) se avessero avuto occhi scuri. Solo un popolo con occhi azzurri, o grigi, o verdi può chiamare l’occhio “arcobaleno”: il prisco ceppo degli Elleni apparteneva perciò alla razza nordica.
Frequenti nelle fonti greche sono gli aggettivi xanthòs e xoutòs “biondo”, pyrrhòs “fulvo” e chrysoeidés “aureo”, riferiti ai capelli di uomini o Dei, aggettivi che corrispondono perfettamente al latino flavus, fulvus e auricomus. Diffuse anche espressioni come chrysokàrenos “testa bionda”, o chrysokóme “chioma d’oro”. Lo stesso progenitore degli Ioni e degli Achei sarebbe stato Xoutòs, “il biondo”, fratello di Doro e figlio di Elleno, mitico capostipite della stirpe greca. Che xanthòs significhi veramente “biondo” è rilevabile da Pindaro che chiama xanthos il leone, Bacchilide il colore del grano maturo (III, 56) mentre Platone nel Timeo (68 b) ci spiega che xanthòs (il giallo) si ottiene mescolando “lo splendente col rosso e col bianco” e Aristotele (Dei colori, I, I) afferma che il fuoco e il sole van detti xanthòs.
Che i bambini dei Germani ai Greci già snordizzati apparissero “canuti” non sorprenderà se si tiene presente quel biondo platino quasi bianco di cui sono spesso i capelli dei bambini di pura razza nordica. Il significato di xanthòs come “biondo” ci è dato da qualunque dizionario greco. Come è stato spesso notato, gli eroi e gli dei d’Omero sono biondi: Achille, modello dell’eroe acheo, è biondo come Sigfrido, biondi sono detti Menelao, Radamante, Briseide, Meleagro, Agamede, Ermione. Elena, per cui si combatte a Troia, è bionda, e bionda è Penelope nell’Odissea. Peisandro, commentando un passo dell’Iliade (IV, 147), descrive Menelao xanthokòmes, mégas én glaukòmmatos “biondo, alto e con gli occhi azzurri”.
Karl Jax ha osservato che tra le dee e le eroine d’Omero non ce n’è una che abbia i capelli neri. Odisseo è l’unico eroe omerico bruno, ma l’abitudine a ritrarre gli eroi biondi è così forte che in due passi dell’Odissea (Xlll, 397, 431) anche lui è detto xanthòs. E, d’altronde, Odisseo si differenzia anche per i suoi caratteri psicologici, segnatamente per la sua astuzia: Gobineau vedeva in lui l’eroe “nella cui genealogia il sangue dei guerrieri achei si è fuso con quello di madri cananee”. In genere però, il disprezzo dei Greci d’epoca omerica per il tipo levantino, è scolpita dal loro disprezzo per i Fenici, bollati come “uomìni subdoli”, “arciimbroglioni” (Iliade XIX, 288). Tra gli dei omerici, Afrodite è bionda, come pure Demetra. Atena è, per eccellenza, “l’occhicerulea Atena”. Il termine adoperato è glaukopis, che certo è in relazione anche col simbolismo della civetta, sacra alla dea (glaux = civetta: occhi scintillanti, occhi di civetta), ma che in senso antropomorfico vale “occhicerulea”: Aulo Gellio (Il, 26, 17) spiega glaucum con “grigio-azzurro” e traduce glaukopis con caesia “die Himmelbluaugige“. Pindaro completa il ritratto omerico della dea chiamandola glaukopis e xanthà. Apollo è phoibos “luminoso, raggiante” e anche xoutòs. Era, sposa di Zeus e modello della matrona ellenica, è leukòlenos, “la dea dalle bianche braccia”, tipico tratto della bellezza femminile della razza nordica.
Bianche braccia, piedi d’argento, dita rosate, e altri caratteristici aggettivi che rimandano a un colorito chiaro, sono frequenti nei poemi omerici. Anche Esiodo ci parla d’eroi e di dei biondi: biondo è Dioniso, bionda Arianna, bionda Iolea. La connessione dei canoni estetici d’età arcaica con l’ideale nordico si ricava anche dall’importanza attribuita all’altezza: kalos kai mégas sono due aggettivi che van sempre insieme. Nella descrizione di Nausicaa e di Telemaco nell’Odissea, si sente che l’alta statura è quasi sinonimo di nobile nascita. E’ lo stesso modo di sentire del nostro Medioevo, che ha dipinto tutte le donne bionde e che poneva come condizione della loro bellezza la grandezza della persona (”grande, bianca e fina”), anch’esso per l’influenza d’una aristocrazia d’origine nordica, germanica. In epoca classica, nomi come Leukéia, Leukothea, Leukos, Seleukos (da leukòs “Bianco”) alludono al colorito chiaro, così come Phrynos e Phryne a pelli bianche e delicate, come anche i nomi Miltos, Miltìades, e Milto. Galatéia (da gàla-gàlaktos =latte) è “quella dalla pelle di latte”. Rhodope e Rhodopìs quelle dalla “pelle di rosa”. Non rari i nomi Xanthòs, Xuthìas, Xanthà, come anche Phyrros “fulvo” (da pur = fuoco) e Pyrrha sposa di Deucalione e mitica progenitrice del genere umano.
Verosimilmente le stirpi doriche, ultime venute dal settentrione, e in particolare gli Spartiati, rigorosamente separati dal popolo, dovettero serbare a lungo caratteri nordìci. Ancora nel V secolo, Bacchilide loda le “bionde fanciulle della Laconia”; due secoli prima Alcmane, nel famoso frammento (54) aveva cantato la fanciulla spartana Agesicora “col capo d’oro fino e dal volto d’argento”. Anche le abitudini sportive delle Spartane, il loro costume di fare ginnastica insieme con gli uomini, ci parlano d’una femminilità acerba e atletica che meglio s’immagina in fanciulle di razza nordica che in quelle di razza mediterranea. Eustazio, (IV, 141) vescovo di Salonicco, commentando un passo dell’Iliade, ricordava come la biondezza avesse fatto parte dell’essere spartano. La cosiddetta “fossa dei Lacedemoni” ci ha restituito gli scheletri di 13 Spartani appartenenti alla guarnigione messa in Atene alla fine della guerra del Peloponneso: tre sono quelli di uomini molto alti (1,85; 1,83; 1,78), gli altri di statura superiore alla media, il più piccolo misura 1,60. Breitinger, che ha studiato questi resti scheletrici, rinviene in essi, “almeno una forte impronta nordica”. Ricorderemo che Senofonte segnalava l’alta statura dei Spartani.
Anche le stirpi ioniche, nonostante risiedessero da più tempo sulle rive del Mediterraneo - fatto che aveva condotto a una notevole mescolanza dell’elemento nordico con quello occidentale-mediterraneo - dovettero serbare, specie nell’aristocrazia, un certo ideale nordico. Nel cimitero del Dypilon, in età geometrica, si nota un incremento di brachicefali centroeuropei a spese dei dolicocefali mediterranei. Non si dimentichi che il geometrico nasce in Attica, esattamente come il gotico nasce in Francia, e così come sarebbe incauto affermare che la Francia non sia stata germanizzata solo perché la lingua è rimasta latina, così sarebbe azzardato sostenere che la migrazione dorica non abbia penetrato l’Attica. Nel VII secolo Solone ci parla d’un Crizia - antenato di Platone - coi capelli biondi, xantothrix, e Platone stesso nel Liside e nella Repubblica ci parla della biondezza come qualcosa di non particolarmente raro. I tragici d’età classica, e particolarmente Euripide, ci mostrano una quantità d’eroi e d’eroine bionde. Nelle Coefore di Eschilo (v. 176, 183, 205) la bionda Elettra rinviene un capello biondo presso il sepolcro del padre, e, poco più in là, ravvisa un’orma del piede particolarmente grande e ne deduce che debba trattarsi di suo fratello. Ridgeway per primo suppose che la saga d’Elettra serbasse un’eco della contrapposizione d’una aristocrazia nordica molto più alta delle plebi mediterranee . Nell’Elettra di Euripide (v. 505 e sgg.) apprendiamo che la biondezza è caratteristica degli Atridi, e nell’Ifigenia in Tauride Ifigenia (52/53) ricorda il padre Agamennone “col crine biondo ondeggiante sul capo”. Lo stesso Euripide ci mostra biondi Eracle, Medea, Armonìa.
Il Sieglin ha notato che nei livelli dell’Acropoli inferiori alla distruzione persiana si trovano costantemente statue con capelli dipinti d’ocra gialla o rossa e occhi in verde pallido: è noto il famoso “efebo biondo”. In genere, in tutta l’epoca classica, si mantenne l’usanza di dipingere di biondo i capelli delle statue: Filostrato, nel suo libro sulla pittura (Eikones), scrive che “la pittura dipinge un occhio grigio, l’altro azzurro o nero, i capelli gialli, o rossi, o fulvi”.
Anche la grande Athena Parthenos che sorgeva accanto al Partenone era bionda, ed è stato osservato che l’arte crisoelefantina sorge per ritrarre un’umanità fondamentalmente chiara. Il tipo ritratto dalla plastica ellenica è essenzialmente nordico: “Nelle figure maschili, la grandezza d’animo (megalopsychìa) d’un tipo umano superiore e capace d’una contemplatività spassionata, in quelle femminili il nobile ritegno, l’acerba e pudica ritrosia d’un’anima nobile di razza nordica”. Anche le statuette di Tanagra, analizzate dal Sieglin, si rivelano bionde al 90%, il che non ci sorprenderà gran ché se Eraclido Critico ancora nel III secolo scriveva delle donne della beotica Tebe: “Sono per la grandezza dei corpi, l’andatura e i movimenti, le donne più perfette dell’Ellade. Hanno capelli biondi che portano annodati sul capo” (Bios Hellados, 1, 19).
Una particolare biondezza delle tebane non meraviglia se si considera la penetrazione tracia nell’area eolica, successiva alla migrazione dorica e connessa all’introduzione della cavalleria, le cui tracce linguistiche si avvertono anche oltre l’Adriatico, tra gli Iapigi. Teodorida di Siracusa (Antologia Palatina, VII, 528 e) ci descrive le fanciulle della beotica Larissa che si tagliano le bionde chiome per la morte d’una concittadina. Anche la colonizzazione eolica avrà diffuso caratteri nordici se si pensa che Saffo chiama la figlia Cleide chryseos (frammento 82). La stessa Saffo è chiamata da Alceo (framm. 63) ioplokos, “col crine di viola”, che viene comunemente tradotto “bruna”. In realtà, come ha mostrato il Sieglin, prima del IV secolo, epoca che segna il disseccamento dell’Ellade e la scomparsa dei boschi, in Grecia esisteva solo la specie gialla della viola (viola biflora), quella stessa che oggi cresce in Baviera e in Tirolo. Ióplokos va tradotto perciò con “bionda”: che Saffo fosse “piccola e nera” (mikrà kai mélaina) è una tarda leggenda.
Che anche la grecità di Sicilia avesse con sé caratteri nordici potrebbero suggerirlo quelle fonti che ci descrivono Dionigi, tiranno di Siracusa, biondo e con le lentiggini. In genere, la menzione di tanti biondi tra le figure d’un certo rango, convalida l’idea del Sieglin che blond galt als vornehm. In genere, nel V secolo la biondezza doveva esser ancora sentita come qualcosa di tipico per il vero elleno se Pindaro, nella nona Ode Nemea (v. 17), rivolto agli Argivi presenti, celebra i “biondi Danai”. D’altronde. ancora Callimaco (Inni V, 4), due secoli dopo, poteva esortare le donne di Argo: “affrettatevi, affrettatevi o bionde pelasghe!”. Bacchilide, nell’ode a un vincitore degli stessi giochi nemei, loda i mortali, uomini dell’Ellade tutta, che “con la triennale corona velano le teste bionde”. Lo stesso Bacchilide, in un frammento (V, 37 e sgg.), menziona dei “biondi vincitori” xanthotricha nikasanta.
La grande arte classica, che data da questo secolo, ha ritratto quel tipo alto, con tratti fini e regolari, che è proprio della razza nordica, e quale oggi si può trovare compattamente solo in alcune regioni contadine della Svezia. Anche la razza mediterranea ha tratti regolari, ma è di piccola statura, e quell’impronta più fiera, quel modellato più energico del naso e del mento che fanno la fisionomia classica, sono da ricondursi alla razza nordica: “Ancora Aristotele scrive nella sua Etica Nicomachea che per la bellezza si richiede un corpo grande, di un corpo piccolo sì può dire che sia grazioso e ben fatto ma non propriamente bello. Questo corpo piccolo e grazioso è essenzialmente quello mediterraneo, come appare a uomini di sentire nordico. Per la sensibilità nordica il contenuto fisico e spirituale della razza mediterranea non è sufficiente ad attingere la vera ‘bellezza’, perché qui per la bellezza si richiede una certa gravità interiore, una grandezza d’animo che dai Greci di sensibilità nordica fu sintetizzata nel concetto della megalopsychìa… La figura mediterranea agli occhi dell’uomo nordico apparirà sempre troppo leggera e troppo inconsistente perché i suoi tratti fisici siano ammirati come “belli”.
Nordiche sono la metriótes, la misurata dignità, la enkrateia, la padronanza di sé, la sofrosyne, la coscienziosa ragionevolezza, in cui lo spirito greco ravvisò la sua essenza profonda. L’apollineo e il dionisiaco, questi due poli della civiltà ellenica esplorati da Nietzsche, altro non sono che l’anima nordica delle élites indoeuropee e la sensibilità spumeggiante delle plebi mediterranee.
Dionisiaco è l’entusiastico, lo spumeggiante, il piacere chiassoso e l’indomita ferocia dell’antico Mediterraneo; apollineo il tono sublime, la saggia ponderazione, la pronta decisione del Nord. Ma è proprio nel V secolo, estremo equilibrio dello spirito greco, che la bilancia s’inclina. La crisi delle aristocrazie maturava già da almeno un secolo e Teognide - che in un frammento ricorda la sua gioventù, quando “i biondi riccioli gli cadevan dal capo” - aveva già maledetto la mescolanza del sangue, rovina delle antiche schiatte. Il ceto dirigente ateniese andava incontro alla snordizzazione per l’afflusso di sangue meteco, plebeo, levantino. La conseguenza ne era il volgersi dei migliori ateniesi al modello spartano. Senofonte addirittura si trasferì a Sparta. Platone laconeggiava nella sua Repubblica, dove l’élite dei capi è educata come gli Spartiati, e dove il nuovo stato poggia sull’eugenetica (unire i migliori ai migliori, sopprimere i minorati, etc.) sì che l’ideale finale si configura come allevamento di fanciulli secondo il modello dell’uomo perfetto, e guida dello Stato da parte di un gruppo scelto per un tale compito.
Ma anche Sparta non superò indenne il conflitto peloponnesiaco, che ferì a morte la sua nobiltà guerriera non meno di quel che la seconda guerra mondiale non abbia logorato quella tedesca. E’ un fatto facilmente constatabile che all’eliminazione del sangue più nobile - e da parte lacedemone era il sangue, preziosissimo, dei nordici Spartiati - abbia considerevolmente contribuito la guerra del Peloponneso. Alla battaglia di Leuttra, gli Spartiati finirono col dissanguarsi completamente, sì che quello spartano poteva rispondere ai soldati tebani entrati in Sparta che chiedevano “Dove sono dunque gli Spartani”: “Non ve ne sono più, se no voi non sareste qui adesso”. Il IV secolo è ancora un’epoca di splendore. Ma c’è nella sua luce qualcosa di più caduco e raffinato che sta come la grazia morbida dell’Hermes di Prassitele alle figure acerbamente eroiche dell’arcaismo e a quelle maturamente solari del secolo V. In esso è l’elemento mediterraneo che torna a parlare. In tutti questi caratteri, è stata giustamente ravvisata la presenza di una specie umana più leggera e più leggiadra.
Di fronte a un’Ellade così fortemente snordizzata, non meraviglia che alla fine del IV secolo l’egemonia sia passata alle regioni periferiche, alla Macedonia. I Macedoni, consanguinei dei Dori, il cui nome dovrebbe significare “gli alti”, dovevano conservare, accanto a una monarchia e a un contadinato patriarcali, l’acerbità nordica delle origini. Alessandro, coi suoi occhi azzurri scintillanti, con la pelle così rosea e delicata che lo si poteva vedere arrossire anche sul petto, è una figura nordica. I Macedoni costituirono l’estrema riserva della grecità, che permise nella fase declinante della sua cultura - di espandere la sua civilizzazione per tutto l’Oriente. Una certa fisionomia nordica dovette conservarsi a lungo nell’aristocrazia macedone. Stratonica, figlia di Demetrio Poliorcete e moglie di Seleuco I, era bionda, biondo era Tolomeo Filadelfo, come pure la sorella Arsinoe, “simile all’aurea Afrodite”. In tutta l’epoca ellenistica, l’ideale femminile continuò ad incentrarsi sulla xanthótes, sulla biondezza. Ce lo ricordano i poeti (Apollonio Rodio, l’Antologia Palatina etc.), il famoso epigramma “Eros ama lo specchio e i biondi capelli”, come pure il fatto che tutte le etere d’alto rango d’epoca ellenistica (Doride, Calliclea, Rodoclea, Lais) erano bionde. La frase… ‘i signori preferiscono le bionde’ vale anche per il mondo maschile delle città ellenistiche.
Wilhelm Sieglin, che si è preso la pena di andare a scovare tutti i passi delle fonti greche dove si parli del colore degli occhi e dei capelli, ha potuto dimostrare che dei 121 personaggi della storia greca di cui gli autori ci descrivono i caratteri fisici, 109 sono biondi, e solo 13 bruni. Lo stesso Sieglin ha raccolto le descrizioni dei personaggi della mitologia: delle divinità, 60 hanno capelli biondi, e solo 35 capelli scuri (di cui 29 numi del mare o degli inferi); degli eroi delle saghe, 140 sono biondi e 18 han capelli neri; dei personaggi poetici, 41 biondi e 8 neri. Da tutto ciò sarebbe eccessivo dedurre che in tutte le epoche della storia greca i biondi siano stati in così schiacciante maggioranza. Certo è però che erano numerosi e, soprattutto, davano il tono alla classe dirigente.
Che un certo ideale nordico contrassegnasse il vero elleno fino ai tempi più tardi, potrebbe confermarlo questa notizia del medico ebreo Adimanto, vissuto all’epoca dell’Impero Romano. Egli scrive (Physiognomikà, 11, 32): “Quegli uomini di stirpe ellenica o ionica che si son conservati puri, sono di statura abbastanza alta, robusti, di corporatura solida e dritta, con pelle chiara e biondi… La testa è di media grandezza, la pelosità corporea inclinante al biondo, fine e delicata, il viso quadrato, gli occhi chiari e lucenti … “. E tuttavia, il romano Manilio ormai ascriveva i Greci alle coloratae gentes. Con la scomparsa della biondezza naturale, erano divenuti di moda i mezzi artificiali di colorazione dei capelli, i xanthìsmata. Il verbo xanthìzestai, “tinger di biondo”, passò ad indicare l’adornarsi, il “farsi belli” per eccellenza. Ma non eran questi mezzi che potevano arrestare il processo di snordizzazione del mondo ellenico. Il tipo dell’elleno si avviava ormai ad estinguersi. Ad esso succedeva il graeculus, lo schiavo astuto o lo scaltro retore, il trafficante o la guida turistica, segnato dal marchio di quella furbizia levantina che lo fecero sentire dai Romani come “inferiore”.

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"Gli Achei e i Troiani della tradizione
politicamentecorretto.com - Gli Achei e i Troiani della tradizione

Giovanna Canzano intervista ERNESTO ROLI

(...)

CANZANO 11- Cosa accetti delle teorie nordiche e baltiche e che cosa non ti convince?

ROLI – Naturalmente faccio salva la serietà e la buona fede dei rispettivi ricercatori, che rispetto sempre. Comunque nonostante la diversità di localizzazione geografica, ci sono indubbiamente dei punti di contatto e di critica comune. Mi spiego. Quando si dice che nell’Egeo è difficile rintracciare un coerente percorso del viaggio iniziatico di Ulisse, questo è vero. Io, però, ho spiegato varie volte che ciò è dovuto al fatto che intorno all’anno mille a. C., i Dori penetrando nell’Egeo hanno
stravolto la terminologia topografica della regione. Per questo i ricercatori e gli studiosi di Omero dall’ottocento in poi, prima comunque della scoperta del mondo ittita, non ci si ritrovano con la
geografia omerica e ricostruiscono arbitrariamente il percorso del viaggio di Ulisse. Questo, però, non ci autorizza oggi giorno ad andare in giro per il mondo e a situare il proprio Ulisse e il proprio Omero in scenari esotici. Cosi facendo ogni angolo della terra presenta situazioni apparentemente simili a quelle descritte da Omero. Di assonanze linguistiche avvicinabili a quelle egee, inoltre, ce ne sono quante ne vogliamo. Un conto, però, sono le assonanze, un conto sono le etimologie e le discipline linguistiche. Anche io, da questo punto di vista, ho commesso diversi errori. Lo riconosco. Per tale motivo, sò quanto sia insidioso questo terreno. La comparazione, inoltre, si fa tra lingue antiche e lingue antiche, non tra lingue antiche e lingue moderne. Senza contare che poi gli abitanti della regione prescelta, fanno ponti d’oro al ricercatore di turno, pur di assurgere alla notorietà, e questi poi si illude. Un altro punto di contatto è la critica al sito dell’antica Troia. Da tempo, insigni studiosi hanno espresso dubbi sul fatto che la città scoperta da Schliemann sia effettivamente quella descritta da Omero, come ho già detto. Però mentre io resto in Anatolia e rintraccio la città che fà al caso di Omero, in quanto ricca, potente, con grandi mura e capitale di un vasto impero e cioè Hattusa, il cui crollo è documentato storicamente, altri preferiscono fortini da guerricciola da Far West, situati in Finlandia, perchè sanno che là, in effetti, non esistono le grandi cosruzioni del mondo egeo anatolico. Un altro punto di contatto è indubbiamente la scelta nordico indoeuropea dei protagonisti, cioè gli Elleni. Un conto è pero farli venire dalla Scandinavia, dove in realtà là non ci sono mai stati, un conto è farli venire da regioni più consone al loro linguaggio, e cioè dal centro Europa. Pensare che gli Achei siano partiti dalla Finlandia dopo una guerricciola e poi sono andati in Grecia dove hanno fondato la civiltà micenea, mi sembra un pò troppo. Un altro punto di contatto con loro sono i riferimenti ai miti nordici, artici ed iperborei, esaminati da Wirt, Tilak, Guenon, Evola ed altri, sui quali siamo d’accordo, anche se, secondo me, non è facile localizzarli da un punto di vista temporale. In poche parole nello scenario omerico questi miti non c’entrano nulla. Dopo di che le similitudini sono finite. Ho l’impressione infine che gli autori baltici si siano illusi che gli Achei, emigrando dalla Scandinavia per arrivare in Grecia, si sono portati con se la geografia nordica nel Mediterraneo. In realtà sono i loro autori che inconsapevolmente, hanno trasportato nel nord la geografia mediterranea.
Da un punto di vista poi della loro localizzazione dello scenario omerico nel nord è inutile dire che non condivido alcunchè.

CANZANO 12- In recenti convegni si è parlato di Evola e di A. Romualdi. Cosa ci puoi dire in proposito?

ROLI – Ho conosciuto Adriano Romualdi nei primi anni sessanta. Siamo diventati amici perchè entrambi ci interessavamo di studi di storia antica, di archeologia e di indoeuropeistica. In generale studiavamo le origini dei popoli indoeuropei e in particolare dei Latini, dei Greci, degli Ittiti, dei Germani e di altri. Inoltre, eravamo interessati anche alle origini degli Etruschi, come popolo italico. Adriano era più anziano di me e naturalmente molto più preparato ed esperto. Tuttavia, aveva molta stima in me e spesso passavamo intere giornate a parlare dei singoli popoli e delle loro origini; inoltre delle migrazioni e delle civiltà indoeurepoee. Io spesso gli suggerivo ipotesi di soluzioni a vari problemi, che lui accettava riconoscendomi il merito. Quando ha pubblicato la corposa introduzione al libro di H. F. K. Gunther: “Religiosità indoeuropea”, mi ha chiesto la collaborazione. Insieme abbiamo letto le bozze e io qualche suggerimento glielo ho potuto dare. Ho l’orgoglio di affermare che parte di me esiste in quel saggio. Il libro fu apprezzato sia da G. Devoto che da Evola. Devoto è tuttora il più grande indoeuropeista italiano; quello più vicino alle nostre tesi. Nulla a che vedere con i vari Semeraro. Dopo la scomparsa di Adriano, io ho proseguito le sue ricerche approfondendo l’origine dei Latini e degli Etruschi. Studi che ho in cantiere. Per questo ho affrontato il problema degli Ittiti, dato il legame storico e mitico che lega questi popoli. Adriano amava gli Ittiti in maniera particolare, perchè sosteneva che avevano costituito la prima civiltà indoeuropea nel modo antico e che si erano sacrificati per difendere l’Europa dagli influssi asiatici.
Adriano era un uomo pratico e concreto, che si è sforzato di diffondere in un certo ambiente, la conoscenza delle civiltà indoeuropee da un punto di vista scientifico, storico, archeologico e spirituale. Non certo le fantasie e le astrattezze cui, a volte, portano i miti, se non saputi correttamente interpretare da menti pratiche, come ad esempio Evola. Di questo lui né era convinto, ed è vero. Alcuni, infatti, appena sentono parlare di Artico, di Nord, di Iperborei, si entusiasmano in maniera irrazionale e accettano qualsiasi tesi, senza riflettere sui possibili tranelli.
Dispiace infine constatare come tanti “amici”, appartenenti alla sua generazione e che anno conosciuto i suoi scritti e la sua autorità in materia di indoeuropeistica, oggi giorno abbiano dimenticato i suoi insegnamenti, per inseguire strani mitomani che di scientifico non hanno alcunchè.
Per quanto riguarda Evola, io l’ho conosciuto tramite Adriano. Spesso eravamo a casa sua a Corso Vittorio, dove parlavamo di problemi esistenziali e di problemi storici ed archeologici. Si complimentò con Adriano per il suo libro, tanto che ne fece una recensìone. Evola, strano a dirsi, era uno studioso molto realista. Alcuni, recentemente, se ne sono appropriati in maniera indebita. E’ poco serio tirarlo per la giacca per cercare di dare una patente di leggittimità alle proprie tesi. Al contrario Evola non avrebbe mai condiviso tesi fantasiose e non scientifiche. E’ stato l’unico, infatti, a saper coniugare mito e scienza. Sapeva che ai miti in se, non è facile dare una collocazione temporale, ma con la sua conoscenza dei dati scientifici ed archeologici, ha saputo equlibrare le due cose. Per i miti vi è il tempo mitico, per la scienza vi è la cronologia, anche se difficile da interpretare. Evola conosceva perfettamente l’archeologia nordica. Conosceva i vari archeologi tedeschi e le loro teorie. Conosceva H. Gunther, G. Kossinna, H. Krahe, W. Darrè e tutti gli altri. Conosceva G. Devoto e altri archeologi indoeuropeisti italiani e stranieri e alla fine condivideva la posizione centro nord europea della formazione dei popoli indoeuropei, come da me esposto e da Adriano sostenuto. Mai avrebbe avvallato la tesi della origine degli Elleni dalla Scandinavia.

BIOBIBLIOGRAFIA

Ernesto Roli è nato in provincia di Bologna nel Settembre del 1943. Architetto ed ex insegnante di Disegno e Storia dell’Arte presso il Collegio Nazareno di Roma, da sempre è appassionato di archeologia ed ha partecipato a diverse campagne di scavo nell’Etruria meridionale insieme ad associazioni volontaristiche, approfondendo nel contempo il problema delle origini degli Etruschi e dei Latini. Studioso di Storia Antica, si è interessato in particolar modo al problema della formazione e della diffusione dei popoli e delle lingue indoeuropee. Numerosi sono gli articoli e i saggi pubblicati su questi argomenti in riviste e giornali specializzati. Contemporaneamente ha affrontato il problema della caduta dell’impero ittita e della geografia omerica, le cui conclusioni sono contenute nel volume da lui scritto: “La caduta dell’impero ittita e la guerra di Troia – Omero nell’Egeo”. Il Roli si è reso conto che nella Storia Antica esiste un momento poco noto e poco chiaro, comprendente il XIII e il XII sec., nel quale nemmeno gli studiosi specialisti in materia riescono a dare risposte esaurienti, circa la caduta dell’impero ittita e la distruzione della sua capitale: Hattusa. Mancano risposte chiare inoltre al problema, che cosa si debba realmente intendere con la “Guerra di Troia” e a quello, chi siano realmente i c. d. “Popoli del Mare”; queste misteriose popolazioni che hanno completamente alterato i vecchi equilibri del Mondo Antico, dall’Egeo, all’Anatolia sino all’Egitto.
A queste domande il Roli pensa di aver dato risposte concrete, che mutano sostanzialmente il quadro delle nostre conoscenze in materia.
Essendo nel frattempo esaurita la prima edizione del suo libro, l’autore ne sta curando una seconda edizione riveduta, corretta ed ampliata.
In qualità di architetto e di urbanista ha in corso di pubblicazione un approfondito studio sulla topografia del Foro Romano e del Palatino."



P.S. Il mio 3d sul Black Metal Greco:

Greek Black Metal Bands (The Glory of Hellas)...

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